Da un racconto ascoltato, quasi per caso, durante un viaggio in Germania iniziano le ricerche di Robisheaux, professore di storia presso la Duke University.
La saga popolare della strega di Hürden rivela un processo per stregoneria svoltosi nel 1672. Il giorno di martedì grasso del 1672, nel villaggio di Hürden, nel Baden-Württemberg, una giovane sposa muore e subito le voci popolari fanno risalire la morte ad un probabile avvelenamento. Il processo che ne segue, documentato negli archivi del castello di Neuenstein, ci lascia intravedere la vita quotidiana del villaggio tedesco con il suo intreccio di relazioni sociali, le sue superstizioni, gli interessi economici e i ruoli di potere nella piccola comunità. Come afferma l’autore, nella prefazione, il metodo della microstoria permette di esplorare “eventi nella dimensione in cui le persone vivono l’esistenza quotidiana” lasciando poi affiorare un paesaggio umano che ci restituisce l’atmosfera di un’epoca. Con Robisheaux si entra nelle fumose case contadine, ci si aggira nei dintorni del mulino, si attraversano le strade delle contrade e sembra di sentire le voci e gli odori che escono dalle finestre.
Dagli atti processuali emergono i rapporti di vicinato, le dicerie, i pettegolezzi che saranno usati per costruire un processo inquisitorio che condurrà Anna Schmieg, la moglie del mugnaio, al patibolo.
Il libro si snoda, quasi come un avvincente romanzo giallo, tra sospetti, tradimenti, accuse di stregoneria, lungo i sentieri della società rurale di fine Seicento dove affiorano ancora usi e mentalità medievali.