L'ultimo libro di Giampaolo Pansa è un lungo e intenso viaggio tra i sentimenti, i ricordi, l'anima del mondo dei vinti. Di quella parte d'Italia che, dopo la caduta di Mussolini, continuò - per molto tempo nelle catacombe della politica - a restare fedele agli ideali della propria gioventù. Pansa indaga con precisione e dovizia di particolari (peraltro senza ricevere, per i suoi diversi libri sulla tragedia della guerra civile, mai una smentita o una denuncia) le origini del falso mito della "Resistenza": una "grande bugia" inventata per giustificare omicidi e violenze, sopraffazioni e vendette personali e - soprattutto - la permanenza al potere di una classe politica "antifascista" che le inchieste di "Mani pulite" hanno spazzato via. Dai racconti e dalle testimonianze riportati nel libro emerge chiaro il quadro di una "Resistenza" poco o nulla determinante, sul piano militare, nella lotta ai fascisti e ai tedeschi, ma molto attiva nelle esecuzioni sommarie, nelle condanne a morte senza processo, nel colpire inermi cittadini solo perché sospettati di essere simpatizzanti del fascismo. Anche se i "custodi della retorica resistenziale" (Anpi in testa) ancora oggi vorrebbero raccontare la storiella dei buoni tutti da una parte e dei cattivi tutti dall'altra, c'è da domandarsi se "ha ancora senso festeggiare la Liberazione seguitando a ignorare quanto è accaduto nella realtà".
Prendendo le mosse da molte vicende già narrate nel 2003, nel Sangue dei vinti, l'autore porta alla luce omicidi e persecuzioni narrate dagli eredi o dai sopravvissuti dalla parte dei vinti. In moltissimi casi le uccisioni furono compiute a guerra finita e, quasi sempre, finirono per colpire personaggi di secondo piano, "tifosi di Mussolini" colpevoli di essere stati iscritti al Partito Nazionale Fascista: maestre elementari, artigiani, federali di provincia.
Pansa ci svela ancora una volta "il lato oscuro della resistenza" unendo, nella tragedia degli sconfitti, non solo i fascisti, ma anche gli ebrei che continueranno ad essere perseguitati anche al termine del conflitto, e quei comunisti che, nella Jugoslavia del maresciallo Tito, erano rimasti fedeli a Stalin e perciò finirono nei lager dei nuovi comunisti titini.
Né può essere dimenticato che intorno alla Resistenza prosperò un opportunismo di comodo da parte di chi per vent'anni aveva acclamato Mussolini e poi voleva salire rapidamente sul carro dei vincitori guadagnandosi "meriti antifascisti" uccidendo per lo più persone sole, indifese, che spesso non avevano condiviso alcuna responsabilità con il regime.
Particolarmente toccante la testimonianza delle figlie di Giuseppe Solaro, l'ultimo federale di Torino, uno studioso di economia appartenente alla "sinistra fascista", barbaramente ucciso perché stava "dalla parte sbagliata"; "ma i suoi erano valori profondi: la nazione, la patria, l'onore, la giustizia sociale".
Valori sconfitti, nella striscia di sangue della guerra civile, ma - forse - non del tutto vinti.