Annette Hess, L'interprete, Vicenza, Neri Pozza, 2019.
"L'interprete" di Annette Hess, sceneggiatrice di serie tv, è il suo primo romanzo, ma è un romanzo che si intreccia con fatti storici ben precisi e reali: il processo contro i principali carnefici di Auschwitz tenutosi a Francoforte tra il 1963 e il 1965. Uno dei primi processi, i cui imputati erano criminali di primo piano, con cui la Germania ha cominciato a fare i conti con la propria storia nazista. Parte del romanzo si avvale della documentazione conservata nel "Fritz-Bauer-Institut" di Francoforte sul Meno: dialoghi originali, deposizioni, requisitorie del procuratore generale Fritz Bauer (bellissimo il film "Lo Stato contro Fritz Bauer", del 2015, ormai introvabile nelle sale italiane).
Il romanzo si sviluppa in un crescendo di emozioni: la protagonista Eva viene chiamata casualmente a svolgere la funzione di interprete dal polacco nel processo contro i carnefici di Auschwitz e, lentamente, scoprirà una realtà del tutto ignorata e inaspettata. Tra i silenzi del fidanzato e le reticenze della famiglia scoprirà che anche lei aveva vissuto la realtà del campo della morte, ma dalla parte degli aguzzini: suo padre faceva parte delle SS ed era il cuoco della mensa ufficiali. Di fronte alle narrazioni dei testimoni, alle tante atrocità compiute, come è possibile capire e perdonare anche la propria famiglia? L'atto di accusa lanciato al padre e alla madre è terribile: "Voi non avete ucciso, ma lo avete permesso. Non so cosa sia peggio".
Il romanzo, attraverso le vicende personali di Eva, è anche una riflessione sulla storia della propria comunità, sulla capacità dell'uomo di compiere le azioni più aberranti e di cancellarle come se non fossero mai accadute. Un tema caro alla letteratura tedesca - praticamente sconosciuto in Italia - che permette di indagare su quella vasta zona grigia di complicità, connivenze e convenienze che ha permesso al regime nazista di salire al potere e consolidarsi per molti anni.