La prima guerra mondiale vista dai fanti che stavano "alla fronte", sulla Piave, sul Tagliamento, nel fango delle trincee, senza falsi eroismi e retoriche gloriose.
Il racconto di Paolo Malaguti si sviluppa su due piani: la vita nella trincea e quegli assalti che diventavano una terribile carneficina; la misteriosa morte, giù da un treno, del generale Graziani, luogotenente della Milizia, militare inflessibile e spietato durante la Grande Guerra.
Tocca all'ispettore Ottaviano Malossi dipanare la strana morte del generale, trovando un muro di omertà e di complici silenzi nell'apparato dello Stato; questore e magistrato non vedono l'ora di chiudere il caso. Ma la morte di Graziani è collegata alle vicende della guerra e ai tanti ragazzi che ha mandato davanti al plotone di esecuzione "per sbandamento di fronte al nemico", ma anche - come nel caso del soldato Baguzzi - perché aveva distrattamente tenuto un sigaro in bocca mentre il generale Graziani passava in rivista le truppe in ritirata.
La vicenda narrata dal romanzo prende spunto da una storia vera: il generale Andrea Graziani il 3 novembre 1917, a Noventa Padovana, ordinò la fucilazione dell'artigliere Alessandro Ruffini per aver salutato con il sigaro in bocca.
La cruda realtà della guerra si mescola con l'indagine poliziesca del 1931, aprendo una pagina di storia ancora poco conosciuta e sopraffatta, nella storia d'Italia, dalla memoria di glorie e di arditismo mentre la realtà era ben diversa. Una realtà, di fango e di morte, narrata con il linguaggio della trincea (nelle ultime pagine del libro c'è un interessantissimo "repertorio minimo del lessico di trincea") che il libro di Malaguti aiuta a comprendere, ripulita da tanta fangosa retorica.