Un grande storico del Medio Evo, Gioacchino Volpe, nel suo "Il Medio Evo" (1926), così descrive l'opera dei monaci, preziosa per la conservazione della tradizione e della cultura: "Quel che erano stati i Benedettini nei primi secoli del monachesimo sono ora [nel XVI secolo], con azioni assai più vive in un mondo che è tutto assai più vivo, i Cistercensi ed i cento e cento loro monasteri disseminati vicini alle città, o nelle campagne acquitrinose e boscose, ora da essi bonificate, o in lontane terre sopra cui l'Europa ora avanza, ampliando il suo cerchio".
È il cerchio intorno al quale cammina il bel libro di Paolo Rumiz, intersecato dal filo infinito della cultura monastica ed europea dei tanti monasteri e abbazie che l'autore ha visitato e di cui ci racconta l'anima nascosta dietro i robusti portoni. Lo scrittore triestino attraversa, moderno chierico vagante, sedici monasteri di tutta Europa alla ricerca di quel legame profondo da cui è nata l'idea di Europa.
Da Norcia, ferita dal terremoto, all'abbazia di Sankt Ottilien, in Germania, con l'abate appassionato del rock, ma anche studioso di teologia, filosofia, chimica, missionario in Africa, autore di numerosi saggi sull'esercizio del potere. Dall'abbazia di Viboldone, in Lombardia, con gli affreschi trecenteschi ricomparsi sotto la calce, all'abbazia luminosissima di Marienberg, in Alto Adige, dove domina "puntuale e indomita [l'] industriosità dell'ora et labora".
Con la leggerezza acuta del viandante che scruta con sguardo attento i segni del tempo e i punti cardinali di una civiltà che ha attraversato tempi difficili di guerre e di miserie, Rumiz ci accompagna alla scoperta, meglio alla ri-scoperta, dei valori fondanti della più autentica tradizione europea. Invitandoci a riscoprire anche una dimensione spirituale dello straordinario patrimonio culturale, artistico, paesaggistico che abbazie e monasteri ancora conservano; spronandoci, lungo gli antichi sentieri d'Europa, a riprendere con coraggio l'"orgoglio delle nostre radici e della nostra cultura".