Max Mattei, Alunno di Maremma, Accademia Barbanera, 2020, p. 233.
Leggendo il lungo racconto di Mattei si torna immediatamente indietro nel tempo: le strade di paese, polverose e attraversate dallo scricchiolio delle ruote dei carri trainati dai buoi, i vecchi seduti sull'uscio delle case, il vociare e i profumi forti dell'osteria. C'è la Maremma degli anni Settanta, dei piccoli borghi dove il progresso faceva ancora fatica ad affermarsi, e l'arrivo di una nuova automobile era un evento eccezionale.
E c'è la storia del maestro, arrivato dalla lontana Sicilia, alle prime armi con i suoi scolari (Filippetto, Rita la Rossa, Pico della Girandola...) ancora tenacemente attaccati ai ritmi e alle conoscenze della propria terra.
Un maestro elementare che scopre le usanze, il dialetto, la mentalità semplice ma arguta dei suoi scolari, e - nello stesso tempo - l'antica sapienza contadina di chi conosce ogni zolla, ogni filo d'erba della terra a cui è legato dal tempo lungo della tradizione.
Accanto alle esperienze di insegnante del protagonista si affacciano le prime esperienze sentimentali con la bella Miriana, la locandiera che ospita il maestro e che gli farà scoprire le gioie dell'amore. Ma, più che le vicende amorose, ciò che caratterizza il romanzo di Mattei è il paesaggio, tra Toscana e Lazio, dove sembra di vedere i carri dipinti dal Fattori e di rileggere le novelle di Fucini. Con tratto leggero, a volte dolcemente nostalgico, l'autore ci riporta nelle atmosfere di una civiltà contadina ormai scomparsa, tra i ricordi della fornaia che, lungo le vie, annunciava che il forno è pronto per infornare il pane, o della pastora che svela ai giovani alunni l'arte di fare la ricotta e il formaggio.
Oltre che una storia d'amore, disegnata con toni lievi e discreti, il libro di Mattei appare come l'affresco di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena, dove la scuola, "con il portoncino d'ingresso rialzato di tre gradini di marmo grigio e due finestre ai lati", è sullo sfondo di un paesaggio agreste circondato da cardi selvatici, dal pascolo delle vacche maremmane dalle larghe corna, interrotto solo dal frullo d'ali dell'allodola marzolina.
Un quadro (del resto l'autore è anche pittore e lo stesso protagonista del romanzo si cimenta con tele e pennelli) che ci restituisce un mondo scomparso, semplice e schietto, a tratti rude, ma ricco di umanità.